La forza di volontà e l’ippopotamo dell’Adamello

Voglio raccontarti la storia di un ippopotamo.
Una storia bellissima che ogni italiano dovrebbe conoscere.

Nel tuo lavoro, prima di definire qualcosa come “impossibile”, rileggiti questa storia.

Ti riporto indietro nel 1916 in piena Guerra Mondiale.

Quando centinaia di migliaia di italiani furono rubati alle proprie case, campi, fabbriche e spediti sul fronte a combattere una guerra mai voluta, per la quale eravamo completamente impreparati.

Dimmi un po… il fronte come te lo immagini?
Trincee? Filo spinato? Fango?

Si, è stato anche questo.

Ma è stato anche neve, neve alta.

Quella quantità di neve che ti impedisce di camminare, di respirare, di vedere ad un centimetro dal tuo naso.

Mi riferisco ad una parte di guerra che si è combattuta ad altitudini talmente alte da sembrarci impossibile.

Guerra bianca, così l’hanno chiamata.
Come se “bianca” potesse rendere “guerra” più accettabile.

Cosa può voler dire passare da 0 a 3500 metri a piedi, con un fucile inceppato per il freddo e degli scarponi estivi?

Possiamo davvero immaginarlo?

È qui che arriva la storia del nostro ippopotamo, un pezzo di artiglieria di medio calibro da 149.

L’ippopotamo era un cannone gigantesco che aveva già sparato nella guerra di Libia alcuni anni prima e che il nostro Stato Maggiore decise di far salire su in alto, sino a quota 3140, sul passo del Venerocolo.

Da quella posizione sarebbe stato possibile battere le postazioni austriache da posizione dominante.

Fu così che il 9 febbraio 1916 l’ippopotamo partí da Temú (quota 1.100).
Il cannone venne diviso in parti e consegnato agli alpini.

L’impresa, più che complessa, sembrava impossibile.

Gli alpini dovettero sopportare pene e difficoltà di ogni sorta.
Il trasporto poteva avvenire solo di notte per non essere visibili alle vedette nemiche.
Al buio si aggiungevano le temperature estreme dell’inverno alpino e la mancanza di attrezzatura. In alcuni punti si dovette procedere con il traino per fune o attraverso l’uso di argani, chiamati “capre”.

Gli alpini trainano l'ippopotamo sull'adamello
Fonte: Archivio Museo della Guerra Bianca in Adamello

“Capre”, “ippopotamo”…
Io credo che i nostri alpini abbiano sopportato tutto questo anche così, con l’ironia. Sdrammatizzando un’impresa al limite delle possibilità umane.

Durante il traino l’ippopotamo finiva sotto a centimetri di neve: così gli alpini rimanevano impantanati per lunghi giorni.

Come se non bastasse nel marzo 1916 l’impresa venne fermata da una valanga che uccise 40 alpini e seppellì il nostro ippopotamo sotto metri di neve.

Il cannone venne disseppellito insieme ai corpi e si proseguì.

Due mesi e mezzo dopo la sua partenza, il 23 aprile 1916, l’ippopotamo arrivò finalmente a destino e aprí il fuoco a sorpresa durante l’assalto vittorioso dei nostri alpini nella zona di Cavento.

Gli alpini ce l’avevano fatta.
L’ippopotamo fu il pezzo di artiglieria posizionato più in alto in tutti i fronti della prima guerra mondiale.

Quando pensi che qualcosa sia fuori dalla tua portata, pensa a qusti alpini.
Perché questa è storia di famiglia.

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